La dipendenza è una dimensione imprescindibile di tutte le nostre relazioni, è un aspetto con cui ci misuriamo in continuazione, con gradi diversi, fin da quando ci troviamo nel grembo materno come embrione.
Durante la gravidanza l’embrione è totalmente dipendente dalla donna che lo porta in grembo. Si nutre e si sviluppa attraverso ciò che la madre gli offre, sia dal punto di vista biologico che relazionale. Con la nascita avviene la prima grande separazione tra il neonato e la sua mamma. Il neonato, incapace di sopravvivere da solo, si ritrova catapultato in un mondo che non conosce, che lo terrorizza ed ha bisogno di una mamma e di un ambiente che sia in grado di proteggerlo dall’eccesso di stimoli e sappia appagare i suoi bisogni sia fisici che emotivi. Una mamma competente sarà colei che si adopererà per cercare di sintonizzarsi con gli stati mentali e fisici del suo bambino, altro da sé, con bisogni e desideri suoi. Bambino che a sua volta si attiverà anch’egli nella ricerca della sintonizzazione con la sua mamma ed il suo ambiente mettendo in gioco le proprie componenti genetiche e caratteriali che lo rendono unico.
Nel neonato l’appagamento dei suoi bisogni fonderà la sua fiducia nella dipendenza dall’altro.
Con il progredire della crescita il bambino evolverà con un’alternanza tra bisogno di dipendenza e lenta acquisizione di autonomia rispetto alle figure genitoriali, aprendosi gradualmente al mondo esterno.
Nella vita di tutti i giorni l’individuo fa continuamente i conti con la sua possibilità di sapersi destreggiare nella dipendenza dall’altro, con la sua dose di smarrimento e/o la sua capacità di farvi fronte. Partiamo da un esempio pratico: telefono a qualcuno e non lo trovo, decido di lasciargli un messaggio in segreteria telefonica. Inizia l’attesa,” mannaggia se potessi fare a meno di Te!”
La dipendenza può scatenare nella persona spasimo, incertezza, impotenza perché l’altro fuoriesce dal controllo .
Se una persona ha sofferto di gravi deprivazioni affettive nella dipendenza originaria sarà molto angosciato quando entrerà in una relazione importante con qualcuno perché avvertirà un grosso pericolo per sé. Se l’altro dovesse abbandonarlo il timore sarebbe di frantumarsi, di andare in pezzi, di perdersi.
La dipendenza ha a che fare con la separazione: tanto più la persona è strutturata, tanto più ha risorse e talenti suoi, tanto più si sentirà solida. Più l’individuo sarà capace di provvedere a sé stesso meno vivrà la dipendenza dall’altro come qualcosa di cogente e doloroso.
Il pensare però di non avere bisogno di nessuno è una contro-dipendenza, è una difesa con cui la persona nega di aver bisogno di qualcuno proprio perché ne ha troppo bisogno e la dipendenza diventa uno spauracchio da cui difendersi.
Nelle relazioni tra adulti un passaggio importante riguarda il desiderare l’altro perché ci piace rispetto all’averne bisogno perché ci si sente soli, vuoti, abbandonati, non desiderati, non visti.
Nell’ambito della dipendenza un bambino ha bisogno, un adulto desidera.
Le persone che hanno sofferto nell’area della dipendenza originaria, proprio a causa del bisogno ma anche del terrore che suscita la relazione con l’altro, possono aver trovato come soluzione alternativa il ricorrere a relazioni con oggetti, sostanze, sulle quali pensare di poter esercitare un controllo.
Tutte le forme di dipendenza da oggetto (cibo, droga, alcool, iperattività fisica o lavorativa) ben esprimono l’angoscia dell’individuo nella relazione con l’altro. La vicinanza genera un eccitamento tale da portare a volte a scappare per non perdere il proprio senso di sé, la propria identità. La fuga viene messa in atto per occultare una ferita antica vissuta con eccessivo desiderio ma anche contemporaneamente con terrore.
Nel linguaggio quotidiano l’essere umano utilizza spesso il cibo come metafora della relazione con il mondo, ad esempio quando si dice “non riesco a digerirlo” (di persona o cosa sgradevole), “mi mangia con gli occhi” (di persona ammirata), “mi fa vomitare” ( di persona o situazione riprovevole).
Le relazioni nutrono il mondo interno dell’essere umano, il cibo nutre il corpo, costituisce l’energia che serve al fisico per poter funzionare.
Il cibo rappresenta qualcosa che entra dentro il corpo dell’individuo e lo trasforma.
Cibo e corpo sono gli emblemi della nostra dipendenza, così come non possiamo fare niente senza il nostro corpo, anche il cibo è il tramite di cui non possiamo fare a meno per vivere. E quindi ben si prestano a divenire bersaglio della lotta contro tutto quello che ha a che fare con la dipendenza, il bisogno dell’altro.
Il cibo ha quindi una grosso valore affettivo.
Il neonato senza il latte non cresce, muore.
Ogni mamma è programmata biologicamente alla nascita del suo bambino per allattarlo e curarlo. La madre che dà il seno non da solo il latte ma una relazione che sarà fondante nella costruzione del mondo interno del bambino. Gli trasmette valore, piacere di funzionare, capacità di cura e ascolto, gioia nel vederlo crescere.
Il cibo è quindi il primo oggetto di scambio nella relazione madre bambino. Tra i due si co-costruisce una sintonizzazione reciproca sui bisogni del bambino. Quando però questa regolazione reciproca non avviene la tensione relazionale per il bambino diventa insopportabile e egli può instaurare un bisogno compensatorio che potrebbe utilizzare il cibo come appagamento.
Con il linguaggio della fame fisica l’individuo ci parla della sua fame relazionale. La persona sempre affamata consuma i suoi pasti, ogni volta come se fossero gli ultimi ma senza mai riuscire a trattenere dentro di sé un senso di piacere, di soddisfazione o di pienezza ripetendo così all’infinito quell’esperienza infantile per cui non ce n’era mai abbastanza. Sono affamate di relazione, di amore, di aiuto.
Nell’anoressia invece all’opposto il corpo viene messo sotto controllo totale con il rifiuto del suo nutrimento, corpo che con la sua vita fatta di bisogni, desideri richiede la dipendenza nello scambio con l’altro. L’anoressica pensa così di poter bloccare il suo desiderio di rapporto con l’altro, di preservarsi dalla dipendenza negandosi quella primaria, togliendosi il cibo.
Come sostituto nella relazione possono venire utilizzate anche diverse sostanze che hanno proprio lo scopo di stare al posto dell’altro, mantenendo almeno così una parvenza di rapporto. La scelta del tipo di sostanza ci parla del tipo di relazione che la persona ha inconsciamente ricostruito sperando questa volta di esercitare un controllo e non di doverla subire. Relazione che contiene pericoli e minacce di morte proprio come i vissuti che l’individuo ha provato nelle relazioni all’origine della sua vita. Il silenzio, l’indifferenza, la disattenzione e la distrazione nella relazione sono i vissuti del tossicodipendente, dell’alcolista, persone che sono state minate nelle loro prime relazioni fondanti la costruzione del loro mondo interno. Difficoltà nelle relazioni, scarsa stima e valore di sé, ipersensibilità, vulnerabilità e vergona caratterizzano tali individui che hanno bisogno ma nello stesso tempo temono una relazione terapeutica di ri-costruzione del rapporto di dipendenza originaria che a suo tempo è stata fallimentare. Ecco perché è così difficile per costoro affrontare un lavoro terapeutico.