Il concepimento di un figlio, spesso sintesi “vivente” dell’amore tra un uomo ed una donna, è quasi sempre vissuto dalle coppia “solo” come un processo istintivo e biologico dimenticando così che il desiderio di maternità e paternità è permeato anche da desideri inconsci e condizionamenti culturali.
Quando una coppia desidera un figlio ma non riesce a concepirlo come primo pensiero si rivolge al medico chiedendo un aiuto circa l’aspetto biologico di questo disagio. Il medico si adopera per comprendere se i corpi funzionano correttamente e laddove ci sia una disfunzione fisica cerca di curarla. Ma l’essere umano è composto non solo da un corpo ma anche da una mente. Corpo e psiche sono indissolubilmente legati e comunicano segretamente: ciò che non si può dire a parole viene espresso tramite il corpo. La compenetrazione tra eventi somatici e contenuti simbolici dura tutta la vita. Le emozioni hanno un effetto diretto sulle funzioni organiche e viceversa.
Dovremmo iniziare dunque a riformulare la cura sulla difficoltà di concepimento ed i suoi sviluppi oltre la dicotomia corpo-mente. La cura della persona richiede un lavoro integrato sulla totalità dell’individuo volto alla ricerca del significato “nascosto” del sintomo. All’insaputa del soggetto, e senza che egli possa esercitare alcun controllo, il suo corpo si esprime utilizzando un linguaggio specifico. Mette in scena le emozioni impensabili dell’individuo, le sue paure, angosce, desideri, racconta la sua vera storia.
Il concepimento di un bambino è, per ogni persona, un cammino che richiede un tempo di elaborazione emotiva lungo e complesso e non solo a livello conscio. Prova ne sono i concepimenti a sorpresa o le infertilità inspiegabili. Facciamo degli esempi:
Quante volte basta la semplice richiesta al medico di aiuto al concepimento per sostenere, riavviare la fecondazione naturale?
Quante volte quando la coppia ha deciso di iniziare un percorso di concepimento assistito la fecondazione avviene naturalmente proprio prima dell’inizio delle cure?
Quante volte nonostante il medico non riscontri particolari problematiche fisiche nella coppia il concepimento sembra impossibile?
Quante volte quando una coppia infertile ha deciso di rivolgersi all’adozione al momento dell’arrivo del bambino la donna scopre di essere incinta naturalmente?
In realtà tutti questi avvenimenti che sorprendono narrano di come il percorso della procreazione sia un cammino le cui origini sono antiche. In ciascun membro della coppia il pensiero di poter diventare genitore mette in moto emozioni, paure, oscillazioni dei pensieri, consci ed inconsci, che esercitano un’influenza sulle funzioni riproduttive di ciascuno.
Sensazioni antitetiche possono manifestarsi improvvisamente nella mente della persona cogliendola di sorpresa. Questo avviene perché la mente di ogni individuo è composta da una parte conscia ed una inconscia. Il termine inconscio indica quella dimensione psichica contenente pensieri, emozioni, istinti, rappresentazioni, modelli comportamentali, spesso alla base dell’agire umano ma di cui l’individuo non è assolutamente consapevole. Nell’inconscio è presente l’ambivalenza cioè la coesitenza simultanea sia del desiderio che del rifiuto rispetto ad uno stesso oggetto. I contenuti dell’inconscio si possono manifestare nei sogni, negli atti mancati, nei lapsus, nelle distrazioni, nei sintomi fisici diventando in tal modo materiale preconscio. Il preconscio convoglia il materiale inconscio verso la coscienza, affinché possa essere accolto ed elaborato.
La fecondità derivante dall’unione di un uomo e di una donna ha a che fare anche con il “desiderio inconscio” specifico di ognuno di loro e non solamente con la loro “volontà” di avere un figlio. Il desiderio di un bambino non è mai un sentimento puro ma spesso ambivalente, è cioè un volere e non volere allo stesso tempo. Nell’uomo e-o nella donna possono coesistere sia il desiderio di diventare genitore che il timore della rivoluzione che un figlio porterebbe per sempre alla loro vita. Un conto è essere single, un conto è essere una coppia, ed un conto è essere una famiglia. Da questa ambivalenza silente, spesso nascosta, può nascere lo scarto tra i progressi medici e l’impossibilità di diventare genitori.
Pensare ad una gravidanza significa quindi fare i conti con il desiderio “autentico e profondo” di ciascuno dei due membri della coppia sospendendo l’uso dei contraccettivi e lasciando giocare liberamente le forze biologiche e quelle inconsce
Diventare genitori comporta per l’uomo e la donna chiudere con la fase adolescenziale della vita, attuare con il primo figlio il passaggio generazionale, iscriversi nella propria discendenza.
Significa rappresentarsi madre e padre ed “insieme” genitori cioè sentirsi sufficientemente adulti per mettere al mondo e crescere un altro essere umano che per lunghi anni dipenderà totalmente da loro.
Comporta il domandarsi se come individuo si hanno le risorse emotive per questo progetto, oltre a quelle fisiche.
Il pensare ad un figlio è un progetto della coppia, formata proprio da quelle due persone insieme. Proprio in quanto progetto comune esso aggrega personalità diverse ciascuna con il proprio mondo interno e con proprie problematiche Nel momento in cui inizia a prendere forma il pensiero genitoriale in quella specifica coppia gli elementi individuali che si incontrano possono determinare difficoltà generative.
Nel desiderio di un figlio i corpi dei due partners sono coinvolti in maniera diversa in quanto il concepimento, la gravidanza ed il parto avverranno nel corpo della donna. Questa differenza biologica comporta dei vissuti molto diversi anche a livello psichico per l’uomo e per la donna.
Dalla mia esperienza di lavoro con donne che avevano difficoltà a diventare madri credo oggi di poter delineare alcune tematiche emotive, particolarmente delicate, che sembrerebbero essere presenti nel loro mondo psichico.
Ho spesso avvertito che la femminilità di queste donne non era sufficientemente valorizzata.
Lo sviluppo dell’identità femminile è un’esperienza trasmessa. La consapevolezza e il piacere di appartenere al sesso femminile si definisce attraverso passaggi successivi. La prima determinante è quella biologica che avviene con il riconoscimento dei caratteri genitali femminili. Questa metterà in moto un percorso di sviluppo identitario basato sulle interazioni e i riconoscimenti relazionali e culturali che la bambina riceverà prima nel suo ambiente famigliare e poi via via nel mondo allargato. La grande conferma della femminilità è sancita poi nella pubertà con la comparsa dei caratteri sessuali secondari, con l’arrivo delle mestruazioni e con riconoscimenti successivi che avvengono attraverso i rapporti di amicizia e di amore. Infine con la maternità.
Per la donna l’identificazione con un immagine femminile e materna positiva è la base fondante del desiderio di maternità e della possibilità di realizzarlo.
La relazione madre e figlia è spesso vissuta come un qualcosa di naturale, di istintivo ma è anch’essa portatrice di tante dinamiche complesse. Si dipana come un percorso relazionale di crescita e di scambio che inizia con una totale dipendenza della figlia verso madre e prosegue mano a mano con un progressivo cammino di indipendenza della figlia sotto la guida materna fino al raggiungimento dell’adultità. Proprio per la profondità ed il coinvolgimento di questo legame in entrambe le figure femminili alcuni passaggi possono essere particolarmente “delicati”. Mentre la figlia percorre il suo cammino per raggiungere la sua femminilità accompagnata dalla madre quest’ultima è anche alle prese con il suo inesorabile processo di invecchiamento. Una madre orgogliosa di essere donna saprà trasmettere alla sua neonata quelle sensazioni di gioia, di orgoglio per aver messo al mondo una figlia del suo stesso sesso.
Anche lo sguardo paterno valorizzante la femminilità della propria figlia sarà molto importante per la bambina e poi la ragazza che si sentirà riconosciuta ed ammirata dal suo primo uomo.
Nel lavoro psicoanalitico con donne che avevano difficoltà fecondative ho spesso avvertito o la mancanza di un retroterra materno di riferimento o che il “rapporto” al femminile era bloccato ad una fase adolescenziale. La figlia era ancora incastrata in un rapporto di rabbia con la propria madre. L’adolescenza é un passaggio naturale nella crescita ma complesso per tutte le parti in gioco. Le mie pazienti sembravano essere rimaste le adolescenti in guerra con la madre-rivale. Questo “stato affettivo” adolescenziale non permetteva però l’ulteriore crescita, la continuità, il passaggio generazionale. Non permetteva alle mie pazienti di viversi come simili alla propria madre, madre da cui loro stesse erano nate.
Diventare madre significa. per certi versi, essere come la propria madre.
Altre volte nell’ascolto della vita delle mie pazienti ho sentito aleggiare una sorta di “castrante rivalità al femminile”, una sorta di divieto materno alla procreazione a cui la paziente sembrava non avere le forze per potercisi sottrarre. Ne rimaneva in balìa senza potercisi emancipare ed andare oltre.
Altre volte ho avvertito nelle donne una sorta di “blocco” alla possibilità di concepimento che aveva a che fare con la trasmissione inconsapevole dalla madre alla figlia di “vissuti faticosi” circa l’esperienza della maternità. Le mie pazienti manifestavano una serie di paure legate alla gravidanza, al parto, alla depressione post partum, alla fatica di prendersi cura di un bambino che la loro madre aveva vissuto e raccontato manifestatamente e che quindi si aspettavano anch’ esse di dover vivere. Con alcune mie pazienti abbiamo affrontato insieme il sorgere di naturali sentimenti di ambivalenza suscitati essenzialmente dalla paura del cambiamento di vita, delle responsabilità, delle trasformazioni fisiche che avvertivano come qualcosa che avrebbero subìto più che scelto.
Passiamo ora ad alcune riflessioni sull’altro partner della coppia, l’uomo.
Ho notato che una difficoltà procreativa nell’uomo, tanto più se confermata successivamente da una diagnosi medica, veicola spesso una “confusione” tra potenza sessuale e potenza concepitiva, mettendo in crisi il senso dell’identità maschile. A volte ho riscontrato che come risposta a questi sentimenti di impotenza vissuta come incapacità sessuale l’uomo cerca conferma della propria mascolinità al di fuori della coppia, lontano dalla compagna-testimone delle sue difficoltà generative. Oppure può manifestare momenti depressivi, ansia e disturbi del sonno a causa della delusione nel non poter appagare il desiderio procreativo della coppia.
Nella realtà il “sintomo” maschile dell’infertilità funge da fotografia di una percezione di sé in parte anestetizzata, di una incapacità a mettersi in contatto con un disagio rispetto all’ assumere su di sé il ruolo di genitore. L’individuo necessita di tradurre in parole il suo autentico vissuto per non cortocircuitarlo nel somatico. Pensieri complessi inaffrontabili ancorati nelle parti più profonde del mondo interno di ciascuna persona, ricordi apparentemente dimenticati, esperienze dolorose, si esprimono nel sintomo dell’infertilità.
Il trattamento della sterilità è quindi da ripensare come una cura medica e psichica tutta da “costruire” ad hoc per quell’uomo e quella donna, esseri umani ciascuno con una loro storia unica e irripetibile alle prese con il loro desiderio genitoriale in cui il biologico incontra lo psichico. Bisogna risalire nella storia unica di ogni donna e di ogni uomo per comprendere quali dinamiche sono in atto nell’impossibilità di generare un bambino per poterle sanare, anche attraverso la medicina, sul versante biologico.
Una visione “psico-somatica” dell’individuo, che inizia ad essere accolta anche dalla classe medica tradizionalmente organicistica, permetterà così di integrare nella cura anche i vissuti emotivi della coppia che si rivolge ai centri per la procreazione medica assistita. Lo psicologo potrà affrontare insieme alla coppia la risonananza emotiva che possono avere le cure per l’infetilità sul singolo individuo e gli effetti sul legame di coppia della medicalizzazione di un evento che avrebbe dovuto essere naturale e connotato dal piacere. La condivisione delle emozioni possibili in gioco, nelle diverse sfaccettature che connotano l’uomo e la donna, quali la delusione, l’impotenza, la vergogna, la rabbia se accolte e pensabili permetteranno alla coppia di “sostenere” e vivere questa esperienza condividendola ed elaborandola come uno dei passaggi della loro vita condivisa. Un lavoro integrato del medico e dello psicologo permetterò una cura più completa della coppia aumentando le loro possibilità concepitive sia a livello biologico che psichico.